Nel suo territorio padano così caro a Zavattini opera Bruno Arcari, un grande genio indomito e tenace, avvolto dalla sua paziente grazia artistica e dallo spirito di un’Officina che da molti anni lo vede protagonista nell’arte del creare suggestivi e misteriosi dipinti attinenti le atmosfere del grande fiume Po.
Senza dubbio il Po deve avere influenzato l’anima dell’Arcari: già lo stesso nome del fiume si perde nella notte dei tempi, tanto che, nel più che millenario cinese antico, “Po” significa grande fiume: sarà un caso, ma le migrazioni dei popoli sono sempre avvenute fin dalla lontana preistoria e ci saranno sempre: il linguaggio ne conserva tracce sorprendenti.
Egli è incurante della sua grandezza tanto che elargisce questi dipinti con un amore quasi disinteressato e gentilmente si presta a dare consigli e cura a chi ha la fortuna di conoscerlo: sì, perchè oltre alla pittura ha il dono di saper dare ulteriore lustro alle opere, sia di pittori famosi e sia di quanti si avvicinano all’arte, con cornici da lui stesso create.
Infatti, nel suo laboratorio si trasforma in maître, consapevole che l’opera d’arte può richiedere una cornice ma questa deve essere in armonia con il dipinto sia nella forma e sia nel colore, così come un certo abito può impreziosire la persona che lo indossa.
I suoi dipinti sovente sono su tavola in legno, quindi predilige inconsciamente tale elemento ed è interessante sapere che nel Feng Shui (in Italia relativamente conosciuto solo dagli architetti ma molto di più nel mondo anglosassone per via dell’incontro con altre culture, particolarmente nella ex colonia di Hong Kong) è l’elemento acqua che alimenta direttamente l’elemento legno.
La sua personalità è quasi monacale, schietta, riservata ma sempre gentile: portamento nobile, bellezza e ricchezza di sentimenti, sguardo diretto e quando parli con lui puoi vedere il mitico splendore di un maragià, il suo portamento nobile, i suoi occhi ne testimoniano l’origine, dal suo sguardo diretto ma anche sognante traspare l’incanto della natura primordiale attorno al Gange, un maragià venuto ad abitare qui forse per far risorgere il Po al suo antico e puro splendore, il grande fiume che dona miracolosamente energia vitale a queste terre e di cui l’uomo cosiddetto civile ha perso coscienza.